
Attualità
Strage della Bruscella: Modugno dieci anni dopo
Una ferita ancora aperta
Modugno - giovedì 24 luglio 2025
17.37 Comunicato Stampa
Dieci anni sono passati dall'esplosione che sconvolse la fabbrica di fuochi d'artificio "Bruscella Fireworks", ma il ricordo è ancora vivo e bruciante. Modugno si ferma oggi per commemorare una delle tragedie più gravi sul lavoro mai avvenute in Italia dal 1987. Un'esplosione violentissima, una nube di polvere e fuoco che, il 24 luglio 2015, cancellò dieci vite in pochi istanti, lasciando dietro di sé solo silenzio e dolore.
L'ultima a spegnersi fu quella di Vincenzo Bruscella, 65 anni, deceduto dopo dieci giorni di agonia all'ospedale Cardarelli di Napoli. Aveva riportato ustioni sull'85% del corpo. Era uno dei titolari dell'azienda e tra le figure simbolo di quella generazione cresciuta tra la tradizione artigianale e il rischio quotidiano della polvere pirica. Con la sua morte, il bilancio definitivo della tragedia salì a dieci vittime.
Quel giorno non venne spezzata solo una catena produttiva, ma un'intera famiglia. Tra le vittime si contarono due nipoti di Vincenzo: Michele Bruscella e Michele Pellicani, figli di fratelli e sorelle impegnati anch'essi nell'attività. Morì anche Vincenzo Armenise, cognato di Michele, marito della sorella Angela. In pochi secondi, la fabbrica divenne una tomba collettiva. Si salvò solo un ferito.
L'inchiesta giudiziaria si avviò subito dopo i fatti. Venne iscritto nel registro degli indagati Antonio Bruscella, socio dell'azienda e tra i pochi superstiti. L'atto, spiegò la Procura, fu necessario per consentire la partecipazione alle perizie medico-legali. Le accuse furono pesanti: disastro colposo e omicidio colposo plurimo.
L'indagine, affidata al pm Domenico Minardi, vide la partecipazione di esperti in esplosivi e balistica forense. Alcuni corpi risultarono irriconoscibili; in particolare, non fu mai ritrovata con certezza la salma di Harbhajan Banga, operaio indiano di 41 anni. Alla moglie fu raccontata una bugia pietosa: "È in ospedale", le dissero, in attesa di una verità che nessuno ebbe il coraggio di pronunciare.
Modugno non dimenticò. Le sue strade, in quei giorni, si coprirono di lutto: bandiere a mezz'asta, vetrine oscurate, raccolte fondi spontanee. La chiesa di Maria Santissima Annunziata si riempì fino all'ultimo banco durante le veglie. Una comunità intera si strinse nel dolore e nella solidarietà. Il sindaco, Nicola Magrone, attivò un conto corrente per aiutare direttamente le famiglie delle vittime. Anche Confindustria e ANMIL fecero sentire la loro voce e il loro sostegno.
"Una ferita che non si rimargina", dichiarò l'allora presidente dell'ANMIL, Franco Bettoni. "Dal 1987 non si assisteva a un simile disastro nei luoghi di lavoro. È inaccettabile". E non fu il solo. La segretaria nazionale della Cisl, Annamaria Furlan, rilanciò l'appello alla sicurezza: "Non si può continuare a morire di lavoro. Dobbiamo fermare questa strage silenziosa".
Il settore pirotecnico italiano, fiore all'occhiello della tradizione artigianale, ha spesso fatto i conti con la tragedia. Negli anni precedenti e successivi alla strage di Modugno, numerosi incidenti mortali avevano già sollevato l'allarme. La memoria corre a Belmonte in Sabina, a San Donato di Tagliacozzo, all'hinterland napoletano. Piccole aziende a conduzione familiare, spesso prive dei presidi necessari, in cui la passione per l'arte pirotecnica si è trasformata, troppo spesso, in una condanna.
Il 24 luglio non è più, per Modugno, una semplice data sul calendario. È un giorno in cui si abbassano le saracinesche, si accendono candele, si pronunciano nomi. Dieci nomi. Dieci storie spezzate. E una promessa collettiva: non dimenticare. Non lasciare che tutto ciò venga archiviato come una "fatalità". Perché ogni tragedia sul lavoro ha un prima, un durante e — se c'è memoria e volontà — anche un dopo diverso.
A dieci anni di distanza, Modugno continua a ricordare. Con dignità, con dolore. E con la speranza che il sacrificio di quelle dieci vite sia monito e guida per un futuro in cui il lavoro non costi mai più la vita.
L'ultima a spegnersi fu quella di Vincenzo Bruscella, 65 anni, deceduto dopo dieci giorni di agonia all'ospedale Cardarelli di Napoli. Aveva riportato ustioni sull'85% del corpo. Era uno dei titolari dell'azienda e tra le figure simbolo di quella generazione cresciuta tra la tradizione artigianale e il rischio quotidiano della polvere pirica. Con la sua morte, il bilancio definitivo della tragedia salì a dieci vittime.
Quel giorno non venne spezzata solo una catena produttiva, ma un'intera famiglia. Tra le vittime si contarono due nipoti di Vincenzo: Michele Bruscella e Michele Pellicani, figli di fratelli e sorelle impegnati anch'essi nell'attività. Morì anche Vincenzo Armenise, cognato di Michele, marito della sorella Angela. In pochi secondi, la fabbrica divenne una tomba collettiva. Si salvò solo un ferito.
L'inchiesta giudiziaria si avviò subito dopo i fatti. Venne iscritto nel registro degli indagati Antonio Bruscella, socio dell'azienda e tra i pochi superstiti. L'atto, spiegò la Procura, fu necessario per consentire la partecipazione alle perizie medico-legali. Le accuse furono pesanti: disastro colposo e omicidio colposo plurimo.
L'indagine, affidata al pm Domenico Minardi, vide la partecipazione di esperti in esplosivi e balistica forense. Alcuni corpi risultarono irriconoscibili; in particolare, non fu mai ritrovata con certezza la salma di Harbhajan Banga, operaio indiano di 41 anni. Alla moglie fu raccontata una bugia pietosa: "È in ospedale", le dissero, in attesa di una verità che nessuno ebbe il coraggio di pronunciare.
Modugno non dimenticò. Le sue strade, in quei giorni, si coprirono di lutto: bandiere a mezz'asta, vetrine oscurate, raccolte fondi spontanee. La chiesa di Maria Santissima Annunziata si riempì fino all'ultimo banco durante le veglie. Una comunità intera si strinse nel dolore e nella solidarietà. Il sindaco, Nicola Magrone, attivò un conto corrente per aiutare direttamente le famiglie delle vittime. Anche Confindustria e ANMIL fecero sentire la loro voce e il loro sostegno.
"Una ferita che non si rimargina", dichiarò l'allora presidente dell'ANMIL, Franco Bettoni. "Dal 1987 non si assisteva a un simile disastro nei luoghi di lavoro. È inaccettabile". E non fu il solo. La segretaria nazionale della Cisl, Annamaria Furlan, rilanciò l'appello alla sicurezza: "Non si può continuare a morire di lavoro. Dobbiamo fermare questa strage silenziosa".
Il settore pirotecnico italiano, fiore all'occhiello della tradizione artigianale, ha spesso fatto i conti con la tragedia. Negli anni precedenti e successivi alla strage di Modugno, numerosi incidenti mortali avevano già sollevato l'allarme. La memoria corre a Belmonte in Sabina, a San Donato di Tagliacozzo, all'hinterland napoletano. Piccole aziende a conduzione familiare, spesso prive dei presidi necessari, in cui la passione per l'arte pirotecnica si è trasformata, troppo spesso, in una condanna.
Il 24 luglio non è più, per Modugno, una semplice data sul calendario. È un giorno in cui si abbassano le saracinesche, si accendono candele, si pronunciano nomi. Dieci nomi. Dieci storie spezzate. E una promessa collettiva: non dimenticare. Non lasciare che tutto ciò venga archiviato come una "fatalità". Perché ogni tragedia sul lavoro ha un prima, un durante e — se c'è memoria e volontà — anche un dopo diverso.
A dieci anni di distanza, Modugno continua a ricordare. Con dignità, con dolore. E con la speranza che il sacrificio di quelle dieci vite sia monito e guida per un futuro in cui il lavoro non costi mai più la vita.