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Attualità

Chi ha paura di Aldo Moro: lo spettacolo torna a Bari

L'autore racconta uno spaccato dell'Italia

Torna a Bari, il prossimo 17 marzo, lo spettacolo teatrale "Chi ha paura di Aldo Moro", messo in scena dalla Compagnia Teatrale Prisma di Giovanni Gentile e Barbara Grilli. A Bari farà tappa all'AncheCinema, dopo alcune spiacevoli vicende che hanno visto lo spettacolo "censurato" a Fasano. Uno spettacolo che mette in scena una delle vicende più note della recente storia italiana, e che in poco più di un'ora, guardandola da diversi punti di vista, cerca di spiegarla a chi non la conosce o a chi l'ha dimenticata. Bariviva ne ha parlato con Giovanni Gentile che ne è anche l'autore e il regista.

Giovanni, tu sei l'autore di questo spettacolo "Chi ha paura di Aldo Moro", ci spieghi che tipo di spettacolo è?

«L'idea è nata perché quando andavo l'università ero uno che andava in mezzo alla strada a protestare, ma tutti noi avevamo questa scissione tra il radicale allontanamento dagli anni delle armi, perché noi eravamo comunisti che con le armi non dovevano avere nulla a che fare, e il sapere che comunque venivamo di là, e tutti eravamo cresciuti nel "mito" di quegli anni. Crescendo, però, ti accorgi che quegli anni non possono essere giustificati, ma di sicuro non erano solo dieci malati di mente che un giorno si alzano e decidono di fare determinate cose. Erano il frutto di una guerra reale tra da un lato i servizi segreti, la democrazia cristiana e dall'altro tutto un mondo di operai, università, un magma reale. Una guerra in un certo senso poi nascosta, in Italia non c'è stato il movimento del '68, non c'è stato il '77, ma solo questi dieci che hanno scelto di armarsi e poi non sono nemmeno stati da soli a decidere, ma sono stati guidati dalla 'ndrangheta, la camorra, la P2, e chi più ne ha più ne metta. Ho ritenuto giusto che i giovani riscoprano le nostre radici, e tramite Aldo Moro, che è l'elemento cardine di tutto il resto, cerchiamo di spiegare ai giovani e ai non giovani che si sono scordati tutto, che cos'era l'Italia in quegli anni».

Sappiamo che a Fasano vi hanno impedito di andare in scena, ti va di raccontarci bene come sono andate le cose?

«Allora, a Fasano noi eravamo andati dall'assessore all'istruzione, lo scorso anno, durante un giro da noi organizzato nelle scuole, con un'altra cosa. Ci aveva accolto con molto calore e amicizia, e avevamo deciso di andare lì con il nostro spettacolo, organizzando delle date con le scuole e una di sera, per i 40 anni della morte di Moro. Prima di questo incontro, a maggio dello scorso anno, eravamo in scena al Duse con le repliche dello spettacolo su Moro. Una sera, dopo lo spettacolo, nei camerini si presentano tre signore che, senza nemmeno dirci chi fossero, hanno iniziato a criticarci in maniera molto dura e sostanziale. Io accetto le critiche, anzi apprezzo il dialogo e allora ho cercato di capire dove fosse il problema, ma si attaccavano su cose che non avevano senso. Durante una discussione quindi in cui io cercavo di dire la mia e loro tre invece aggredivano, alla fine ci dicono di essere le sorelle e la nipote di Zizzi, uno degli uomini della scorta. Ho cercato di mettermi dal loro punto di vista, ho chiesto un incontro in cui ragionare insieme e modificare eventuali errori che per loro potevano essere importanti, ti faccio un esempio. In una scena dell'eccidio di via Fani, fatta in modo scenico con un gioco di luci, si intravedono delle cose senza che ci sia nulla. Lo spettacolo è organizzato per ruoli, e chi narra ad un certo momento inizia a raccontare dal punto di vista dei diversi personaggi. Tra questi personaggi c'è proprio Zizzi, e io ho immaginato che nel momento in cui muore ricorda quando da bambino andava col nonno a guardare gli ulivi. Le parenti si puntavano su questa cosa, ovviamente non reale, sottolineando che non avesse mai conosciuto il nonno. Abbiamo quindi fatto un incontro a casa loro, in cui continuavano ad attaccarsi su queste cose, io e Barbara abbiamo cercato di calmare le acque e non metter muri. L'incontro si è chiuso con un certo calore, mi sono impegnato a correggere ciò di cui avevamo discusso, e ho mandato loro il copione rivisto con il monologo corretto. Non ho avuto risposte. Dopo aver organizzato tutto a Fasano, mi chiama poi l'assessore Cinzia Caroli dicendomi che le Zizzi avevano posto il veto, e il sindaco non se la sente di andare contro la famiglia Zizzi. Tieni conto che Zizzi a Fasano ha il monumento in marmo al cimitero, ha intestato il palazzetto dello sport, ha intestato il giardino Franco Zizzi, anche una caserma dei carabinieri forse e non stiamo parlando di un eroe solo di una persona morta mentre faceva il suo lavoro. E invece Palmina Martinelli nella stessa città ha un loculo piccolissimo nell'angolo di un muro e per intestarle una strada siamo arrivati al 2013, e per intestarle un'aiuola a Bari ho fatto i salti mortali. Per cui non è vero che in morte diventiamo tutti uguali, anche in morte rimangono i ricchi e gli straccioni. Zizzi è un ricco e può avere tutti gli onori, Palmina Martinelli è una stracciona e sta ancora in un buco nel muro. Alla fine, poi, ci hanno censurato e non ho nemmeno capito il perché. Anzi ci tengo a chiedere loro perché mi hanno bloccato lo spettacolo. Forse il problema è il non avere creato il mito eroico di Franco Zizzi».

Perché questo titolo? Ancora dopo 40 anni credi che Aldo Moro sia ancora una figura così attuale e che fa paura?

«Esiste una commissione parlamentare che da quattro anni stava di nuovo lavorando sul caso Moro, ha rivisto carte, parlato con persone, spendendo milioni di nostri euro giungendo al nulla. Io credo che se qualcosa c'era in quarant'anni sarebbe uscita, ma c'è ancora un onorevole del PD, Gero Grassi, che gira le scuole dicendo che la commissione ha scoperto intrecci clamorosi con Israele, la Cia, la camorra, la 'ndrangheta, Gladio, ecc… Secondo lui quel giorno in quell'angolo di strada c'era tutto il mondo, peccato che nella relazione uscita non c'è scritto nulla di tutto questo. Tutto è stato riesaminato, e le indagini del R.I.S. hanno confermato quanto detto dal commando in aula, per cui le sentenze sono giuste. Andare in giro come ha fatto Grassi a dire che in Italia in quegli anni non c'era una guerra, ma solo intrecci di servizi segreti deviati, da non si sa chi, e di Cia è togliere ai giovani la possibilità di razionalizzare un percorso che è la nostra radice. Chi ha paura di Aldo Moro è dire che qualcuno, ancora, non vuole ammettere che quello che i brigatisti dicono è vero. Sminuire quanto accaduto in quegli anni, dire che le Brigate Rosse non erano in grado di realizzare niente, che non c'era una guerra, significa non dire ai giovani che questa cosa è esistita, che sono stati i nostri genitori, i nostri nonni, i nostri zii. Se io capisco che Barbara Balzerani e Curcio sono andati nel 1989 a Rai Uno e hanno dichiarato la resa, per quale ragione oggi non riusciamo a ragionarci sopra, ma vogliamo minimizzare? Sono cose chiuse, finite, cerchiamo di comprenderle per evitare che possano capitare di nuovo».

Ragionando su quanto detto finora, a chi ritieni che debba essere diretto uno spettacolo teatrale come questo?

«Credo a tutti, nel senso che i giovani ne hanno bisogno per conoscere la storia dei loro genitori di cui non sanno nulla, che non viene insegnata a scuola ed è la nostra radice, ma è diretto anche alla mia generazione che ha chiuso in carcere questa gente sia a livello strutturale, in quanto chi non si è dissociato è ancora in carcere, sia a livello ideologico. Barbara Balzerani non può andare in nessuna città, nonostante abbia pagato il suo debito con la giustizia, che succede il disastro. Quando l'ho incontrata mi ha aperto dei canali, mi ha permesso di comprendere cose molto lontane da me».
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